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L’attualità del “metodo” Falcone: interventi e proposte pratiche per la lotta alle mafie.

In ricordo di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani.

«Un uomo solo in vita, è un uomo solo anche da morto». Giuseppe D’Avanzo

di Carla Sollazzo

Giovanni Falcone entra in magistratura nel 1964. Dopo essere stato Pretore a Lentini e Pubblico Ministero e Giudice a Trapani, dall’inizio del 1978 al marzo 1991 è Giudice Istruttore e Procuratore Aggiunto della Repubblica di Palermo; viene, poi, nominato Direttore Generale degli Affari Penali del Ministero di Grazie e Giustizia.

Oltre al Maxiprocesso (360 condanne) e al patrimonio di conoscenze che ci ha tramandato su Cosa Nostra, c’ha lasciato opinioni, intuizioni, progetti e strategie per gestire e migliorare l’organizzazione della giustizia italiana, animato da una passione civile contraddistinta da una certa perspicacia nell’individuare debolezze e criticità del nostro Stato.

Le sue proposte per la lotta a Cosa Nostra – trattamento e attendibilità dei pentiti, carcere duro per i mafiosi, intercettazioni telefoniche, separazione delle carriere – portarono non solo al Maxiprocesso, grazie alla collaborazione del boss Tommaso Buscetta, ma anche all’arresto dei capi mafia Totò Riina e Bernardo Provenzano.

Proposte pratiche quelle di Giovanni Falcone, che hanno contribuito allo sviluppo democratico del nostro Paese e che, a distanza di anni, grazie alla sua lungimiranza e al suo pensiero sempre lucido, risultano di grande attualità.

L’indipendenza e l’autonomia della funzione giudiziaria erano per lui valori ineliminabili, pur rappresentando delle gravose responsabilità che la Costituzione ha affidato al Magistrato, per garantire l’imparzialità del giudizio, l’eguaglianza dei cittadini di fronte alla Legge, l’efficienza della macchina giudiziaria. «È unanimemente riconosciuto – sostiene Falcone – che i valori dell’indipendenza e dell’autonomia della Magistratura non costituiscono un privilegio di casta, ma un necessario riconoscimento previsto al fine di garantire l’imparzialità del giudice e l’eguaglianza del cittadino di fronte alla legge».

Un rivoluzionario riformista, un “diverso”, che ha messo la funzione giudiziaria coltivata dalla politica a confronto con la sua passione civile, il suo talento investigativo, il suo estro, la sua tenacia, la forza delle sue idee; oggi, che viene a mancare la sua presenza fisica, dalla sua testimonianza e dal suo esempio si può prendere possesso della sua memoria, attraverso la sua storia, le sue parole, le decisioni che ha preso con coraggio.

Ma in vita Falcone era un uomo solo: accompagnato dalla solitudine istituzionale, dalla gelosia e dal disprezzo della casta togata, dal “solco” che sempre lo divise da una magistratura “pigra”, dalla diffidenza dei media.

Quella del Magistrato era per lui una missione ed una risorsa, un’ostinazione che lo ha reso, come sottolinea D’Avanzo, «estraneo e fuori posto – in ogni luogo in ci gli è toccato stare – tra i magistrati tentati dal potere e tra i politici innamorati dei Magistrati quietisti, sensibili al comando del potere»; così è diventato un “diverso”, da eliminare, calunniare, demolire.
Le sue Relazioni Congressuali, le Conferenze Universitarie, i suoi contributi agli incontri periodici dell’Associazione Magistrati, ci permettono di conoscere Falcone non soltanto come Giudice antimafia, ma anche come studioso attento alla realtà sociale a lui contemporanea, sensibile ai problemi giuridici e giudiziari del nostro Paese.

«Non è retorico né provocatorio – scrive Falcone nel settembre 1991 – chiedersi quanti altri coraggiosi imprenditori e uomini delle Istituzioni dovranno essere uccisi perché i problemi della criminalità organizzata siano finalmente affrontati in modo degno di un Paese civile».

Chiediamocelo, dunque, affinché le sue parole e le su conquiste non siano perdute, dimenticate o, peggio, piegate a interessi particolari; «È un’opportunità per l’Italia immatura – sostiene D’Avanzo – di coltivare con la memoria affettiva, un’autentica memoria storica. È l’occasione per restituire a Falcone quel che è suo e, finalmente, concedergli la pace e il riposo che si è guadagnato tra di noi, nella sua breve e infelice vita […] Questo “strano” italiano che spiegò – non solo all’Italia – il fenomeno mafioso e con competenza investigativa e sapienza giuridica aprì, in solitudine, strade che ancora oggi bisogna esplorare se si ha in animo di distruggere la mafia, le mafie».

(Fonti: www.fondazionefalcone.it, Giovani Falcone, Marcelle Padovani, “Cose di Cosa Nostra”, 1991 Giovanni Falcone, “La posta in gioco. Interventi e proposte per la lotta alla mafia”, 1994)