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“L’Ungheria, apripista antidemocratica” di Enrico Esposito

di Enrico Esposito

Parte dall’Ungheria l’offensiva alla democrazia. E l’Europa tace, concentrata su questioni di economia e finanza. E’ angosciante pensare che a Bruxelles non si avvedano che a Budapest si sta verificando quanto da tutti paventato. La concessione dei pieni poteri al capo del governo magiaro ha generato fino ad ora sparute reazioni a difesa di uno dei principi fondanti dell’Europa.

Già con il trattato di Roma e dalla conferenza di Messina, nel biennio 1956-1957, la condizione irrinunciabile per entrare a far parte della Comunità europea consisteva nella adesione, all’interno dei singoli stati, ai valori morali e politici della democrazia come unica forma di governo idonea a garantire la libertà a tutti i cittadini. Quella libertà nata dalla vittoria contro fascismo e nazismo nella seconda guerra mondiale. Spagna e Portogallo infatti, dove infuriava ancora il fascismo di Franco e Salazar, non c’erano e non ci sarebbero state se non dopo la restaurazione democratica degli anni Settanta.

Ora che una pur mal riuscita copia di quei regimi autoritari e liberticidi viene realizzata in Ungheria, l’Europa assiste inerte ed afasica. Non è da escludere che nel resto del Vecchio Continente non si tenti di imitare il perverso esempio di Orban. Già in Italia il capo della Lega qualche mese fa invocava i pieni poteri, senza riuscirci più per demeriti propri che per l’azione di contrasto dei suoi avversari. Anzi in quei giorni si contavano sulle dita di una mano quelli che vedevano nel maldestro tentativo di Salvini un malcelato intento di ritorno al fascismo. E ancora non c’era il coronavirus, agitato come alibi dal premier ungherese, padrone di una maggioranza parlamentare colpevolmente consenziente. Oggi con la pandemia sempre attiva la rinuncia alla democrazia potrebbe farsi strada con il consenso non tanto di una maggioranza parlamentare, quanto dei cittadini europei, defatigati da anni di politiche economiche dissennate, lontane anni luce dalle speranze in un’Europa unita e solidale.

Se così dovesse accadere si ripeterebbe quanto avvenuto in Italia nel 1919-1922, quando nel parlamento persino Benedetto Croce votò la fiducia a Mussolini. Dopo qualche tempo il capo del fascismo, com’è noto, poté affermare impunemente che avrebbe fatto di quell’aula sorda e grigia (Montecitorio, cioè) un bivacco di camicie nere, con il sostegno di movimenti e gruppi eterogenei come nazionalisti, futuristi, avanguardisti, reduci e via dicendo. Sicuro che un tale pericolo non si ripresenti oggi sotto forma di sovranismo e di antieuropeismo?

Nessuno pensa al fascismo degli anni Venti del secolo scorso, ma non è da sottovalutare l’eventualità di un nuovo fascismo, come ammoniva Umberto Eco quanto distingueva tra fascismo storico e fascismo perenne, che definiva urfascismo, inteso come fuga dalla libertà e dalla democrazia per affidarsi ad un uomo solo al comando, interprete solitario e battagliero delle aspirazioni e delle attese di un popolo intero, pressato dai problemi quotidiani anche di sopravvivenza e rassegnato a fare a meno di democrazia e libertà in cambio di sicurezza e benessere.