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“L’Ungheria fuori dall’Europa, subito!” di Enrico Esposito

di Enrico Esposito

L’Ungheria va bandita dall’ Unione Europea. Subito e con disonore, perché ha violato il primo caposaldo dell’Unione stessa, quello della democrazia. Non ci possono essere dubbi e tentennamenti su questo punto. Irrita che la Commissione Europea non prenda una posizione netta, già al suo interno. Ci sarà pure un commissario ungherese che affianca Ursula von der Leyen.

Che cosa aspetta ancora a notificargli che per scelta stessa del suo governo e della maggioranza parlamentare che lo sostiene è automaticamente in compatibile a ricoprire quell’incarico? Non è tempo di mezze misure. Lo stesso Ppe (il partito popolare europeo) non può più limitarsi a mantenere la sospensione di Orban, consegnandolo ad un limbo ormai impraticabile, da quando ha scelto di fare tutt’altro percorso. Se è rimasto del coraggio, questo individuo va espulso, per il buon nome stesso dei popolari in Europa.

Ed irrita ancor più che poche voci si sono sentite e poco si legge sui social per condannare quando avviene a Budapest. La piazza virtuale è poco frequentata, la diffusione virale della giusta e sacrosanta indignazione non si vede abbastanza.

Chi scrive queste note ricorda le proteste che si elevarono quando nell’ottobre del 1956 i carri armati dell’Unione Sovietica schiacciarono con la potenza di fuoco dei carri armati e dell’artiglieria, per non parlare dell’aviazione, la rivoluzione scoppiata in Ungheria per chiedere libertà e democrazia. I cortei degli studenti in quei giorni non si contavano e trovavano sostegno e conforto in gesti significativi, come la rinuncia al premio Stalin per la pace conferito a Pietro Nenni.

Allo stesso modo tanti elementi comunisti e socialisti protestarono contro la spietata repressione di quella rivoluzione popolare. Tanti uscirono dal partito comunista, dopo che Togliatti e lo stesso Napolitano (che però in seguito riconoscerà l’errore) approvarono l’intervento sovietico senza condizioni, fino a rendere possibile l’esecuzione della condanna a morte di Imre Nagy, che con il generale Maleter s’erano messi alla guida del moto popolare. Antonio Giolitti uscì dal PCI e insieme con lui tanti intellettuali, scrittori e artisti.

Viene allora spontaneo chiedersi come mai una protesta di quelle dimensioni non si manifesti ancora. Certo, c’è il coronavirus e non si può uscire. E questo era nei piani di Orban e dei suoi. Ma la rete, il web, oggi più che mai, dovrebbero battere più di un colpo. Perché quello che è accaduto agli ungheresi potrebbe verificarsi anche in altri paesi europei, considerati i segnali di riesumazione di vieti slogan antidemocratici e autoritari. Oggi in Ungheria, domani dove?

Protestare con forza oggi, in attesa delle decisioni di Bruxelles significa in fondo riprendere le battaglie del 1956. Allora si parlava di socialismo dal volto umano di fronte a quello burocratico e totalitario dell’Unione Sovietica. Oggi è tempo di parlare di un’Europa dal volto umano, che dimetta il ghigno mercatista, neocapitalista e, alla fine, illiberale.