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“Madre terra” di Enrico Esposito

di Enrico Esposito

Ancor prima che inizi la fase 2 della pandemia da Covid-19 si segnalano da più iniziative di cui vale la pena parlare. Una di questa, forse la più importante, è un auspicabile ritorno alla terra. Dall’agricoltura già in questi giorni arrivano risposte e soluzioni dettate dalla crisi economica che accompagna come un’ombra fastidiosa il diffondersi del virus.

Si viene a sapere così che, per l’impossibilità per molti di recarsi al supermercato per rifornirsi di cibo, si vanno dissodando terreni abbandonati per inseguire la chimera del fast food industriale e insapore, si sta riscoprendo quali grandi potenzialità offre la cura dell’orto sotto casa e si moltiplica la ricerca dei prodotti genuini della terra al mercato. Il buon mercato non è più quello dove si spende meno, ma quello dove si compra meglio. Se tutto questo si realizzerà come alternativa alla filiera agroalimentare dominata dall’invasione dell’industria sull’agricoltura, sarà un risultato epocale. Sarà il ritorno alla madre terra, di grande ascendenza culturale e morale e sarà un passo da gigante.

Sì, perché l’agricoltura non è mai stata soltanto una tecnica di coltivazione della terra, ma è una vera e propria visione del mondo, una scelta di vita in buona sostanza. Già Catone, ottimo oratore ed accorto politico, ci fa sapere che ai suoi tempi (siamo nel terzo secolo prima di Cristo) era in fase avanzata la trasformazione della proprietà agricola in senso, diremmo oggi, industriale e l’intellettuale sabino va al contrattacco rivendicando all’agricoltura non solo il pregio di costituire un conveniente investimento economico, ma soprattutto il terreno su cui edificare buoni cittadini su sani principi di morigeratezza e di partecipazione attiva e consapevole alla vita sociale e politica.

L’agricoltura come un vero e proprio sistema di organizzazione della vita dello stato, regolata da un pater familias saggio e premuroso. Qualche tempo dopo addirittura troviamo chi arriva a considerarla sullo stesso piano della filosofia, per l’importanza che ha nella vita sociale. Columella, ma siamo già nel primo secolo dopo Cristo, scrive dei testi che non sono solo manuali per l’uso agricolo, ma vere e proprie proposizioni ispirate ad una chiara concezione della vita e del lavoro. Del resto c’era già stato, fra gli altri, Virgilio che della vita dei campi aveva rappresentato l’aspetto umano e poetico nel migliore dei modi. L’universo contadino in poche parole ha costellato la storia europea per secoli.

Anzi, se qualche rivoluzione c’è stata anche in Italia, è nei campi che s’è realizzata con la resistenza allo sfruttamento padronale e la richiesta di migliori condizioni di vita e di lavoro. Certo a questo proposito non è di buon auspicio che si pensi di sfruttare manodopera straniera nella nostre campagne. Lo sfruttamento della mano d’opera, cioè dell’uomo, è soprattutto sfruttamento della terra, già defatigata da secoli di aggressioni e di abbandoni inconsulti. Non si tratta di sfruttarla, la terra, ma di rispettarla come un tempo, regolando la nostra alimentazione su leggi e norme che seguano criteri di adattamento e di adeguamento alle leggi naturali.

Con l’aiuto della scienza agricola, chiamata oggi a trovare rimedi al deficit alimentare in tante parti del mondo. E’ una buona notizia il ritorno alla terra, perché da lì siamo nati tutti, anche per la lingua che parliamo. Solo qualche esempio: quando usiamo il verbo putare, non dimentichiamo che viene dall’agricolo potare, cioè tagliare i rami secchi, quindi produrre pensieri puliti e ordinati come alberi sfrondati delle parti superflue. Se usiamo il verbo esprimere, è bene ricordare la sua origine latina, expromere, cioè far zampillare il vino nuovo dalla botte.

Allo stesso modo facciamo venire in superficie le idee che abbiamo in mente, esprimendole appunto. Anche tanti dei frutti che la terra ci elargisce, pere mele noci carote, prendono denominazione latina dall’attività agricola.  Grande errore sarebbe dimenticare che, in piena era industriale e tecnologica, l’agricoltura viene definita settore primario. Già, perché prima di qualsiasi cosa l’uomo si deve nutrire: primum vivere, deinde philosophari.