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Marcellina (Cs) :: L’ingegneria Naturalistica: le piante vive usate per costruire.

MARCELLINA :: 15/11/2008 :: Solcando la Statale 18 da Scalea a Diamante si passa, poco dopo il bivio per Marcellina e poco prima di quello per Santa Maria del Cedro, sul ponte sopra il fiume Abatemarco. Osservando verso i monti (sulla nostra sinistra, quindi) è possibile ammirare la sistemazione idraulica da qualche mese completata e oggi ripulita dalle sterpaglie che erano cresciute velocemente. Si vedono dei grandi massi sulle sponde del canale centrale (tecnicamente chiamato “savanella”), delle file degli stessi massi (solo un pò più grandi) che si snodano trasversalmente alla corrente da un argine all’altro, e delle piante di salice crescere rigogliose fra un masso e un altro.

Si potrà pensare che siamo di fronte a un parco fluviale, a un progetto pilota di riqualificazione ambientale o, infine, a qualche intervento di arte post-contemporanea. Niente di tutto ciò: siamo di fronte a un semplice intervento di messa in sicurezza idraulica del corso d’acqua realizzato attraverso le collaudate tecniche di Ingegneria Naturalistica. Ebbene sì, si tratta di un’opera ingegneristica, puramente ingegneristica, posta in essere per evitare che il fiume, durante le tumultuose piene, possa arrecare danni alle abitazioni circostanti. Ma com’è possibile? Come fanno dei massi e dei salici a impedire al fiume di straripare? Com’è possibile che quei massi non vadano a mare con tutto il ponte della statale? E ancora, com’è possibile che degli ingegneri abbiano fatto opere utilizzando un materiale diverso dal cemento armato? Cercherò di rispondere a tutto, ma andiamo per gradi. L’ingegneria naturalistica nasce in Germania e Austria una trentina d’anni fa e viene molto presto importata in Italia in Alto Adige e subito dopo in Friuli, Veneto e Lombardia. Il principio su cui si basa questo tipo di tecnica è molto semplice: ci sono eventi naturali che è possibile gestire e controllare in modo molto migliore con interventi poco impattanti, che garantiscono le finalità per cui vengono poste in essere senza deturpare l’ambiente. L’intervento sul fiume Abatemarco poteva essere fatto diversamente, si poteva semplicemente prevedere una colata di cemento, invece che quei massi sulle sponde, e si sarebbe ottenuto un risultato idraulicamente soddisfacente a costo comparabile. Ma cosa ne sarebbe uscito?In Italia e nel mondo si è assistito per decenni alla cementificazione selvaggia di fiumi, canali, scarpate: era necessario?La risposta è ovviamente no. Si potevano utilizzare tecniche alternative, meno impattanti ma efficaci allo stesso modo. Poi, è ovvio, ci sono casi in cui il cemento armato è indispensabile, ma è auspicabile che il suo utilizzo sia limitato proprio all’indispensabile e possibilmente coperto. L’ingegneria Naturalistica usa l’interazione fra alcune piante vive e gli inerti per generare un sistema che nel complesso possa contrastare eventi potenzialmente pericolosi. Nel caso del Fiume Abatemarco il peso dei massi è stato scelto considerando le massime velocità che presumibilmente l’acqua potrà raggiungere nel corso di piene che abbiano tempi di ritorno di 200 anni, come previsto dai regolamenti dell’Autorità di Bacino della Regione Calabria. Questo vuol dire che, attraverso sofisticati metodi statistici tipici dell’idrologia, è stato calcolato, sulla base dei dati misurati dagli idrometri e riportati sugli annali idrologici, l’evento di pioggia che può generare nel fiume un’onda di piena che statisticamente si presenta una volta ogni 200 anni. A quest’onda di piena corrispondono altezze velocità dell’acqua che è possibile stimare attraverso adeguati modelli matematici. Sulla base, poi, di studi di laboratorio pubblicati sulla letteratura scientifica di settore e verificati su opere vere, è stato scelto il peso dei massi in modo che la corrente d’acqua con le velocità prima calcolate non provocasse il movimento dei massi. Accanto a questo si è scelto di inserire fra un masso e un altro delle talee di salice, in modo che, crescendo, i tronchi spingono sui massi stessi incastrandoli di più e, inoltre, lo sviluppo delle radici rinforza il terreno, rendendo più stabile la base su cui poggiano i massi stessi ed evitando, quindi, che col tempo si creino fenomeni di asportazione del terreno di base mettendo a rischio la stabilità dei massi. La natura utilizzata ma non violentata dall’uomo, piante non tagliate ma coltivate, massi presi dai monti e poggiati sul terreno. Una cosa importante, però, quando si decide di utilizzare questa tecnica è la manutenzione di queste opere. Sono piante e massi, le piante vanno potate, come tutte le piante e i rami tagliati riutilizzati e ripiantati nei pressi dei massi vicini, in modo che l’intervento cresca e si rinforzii e la sicurezza cresca invece di diminuire. Le piante vanno potate anche per evitare che si riduca la sezione di deflusso delle acque e, quindi, si trasformino da aiuto in problema. Un intervento di questo tipo, puramente idraulico, permette di abbellire i fiumi per decenni considerati discariche, in cui versare liquami, materassi, lavatrici, inerti, etc. e pone le basi per permettere una facile e immediata trasformazione in parco fluviale.  Nella nostra bella Riviera dei Cedri abbiamo tanti fiumi e torrenti, classificati dall’Autorità di Bacino “aree d’attenzione” e quindi potenzialmente risciosi . Quando arriverà il momento di metterli in sicurezza idraulica pensiamo di farlo attraverso l’Ingegneria Naturalistica, lasciando il cemento per altro. 

Giuseppe Maradei