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Quale Europa dopo il Coronavirus? di Enrico Esposito

di Enrico Esposito

Gli incontri di queste ore tra i ministri Ecofin e a seguire dei capi di Stato e di governo non sembrano destinati a dare i frutti sperati. Le risposte attese dai paesi più colpiti dal virus, tra i quali ci sono quelli come l’Italia più indebitati, è difficile che siano come auspicato nelle proposte come quella dei virus bond del premier italiano e l’altra del sostegno a suon di miliardi di euro delle maggiori spese sostenute dai singoli Stati per far fronte alla diffusione del covid-19.

Questo è un momento cruciale. E’ il momento di verifica della capacità europea di accettare le sfide della solidarietà e della prevalenza degli interessi legati alla salute dei cittadini del vecchio continente. Sembra invece che prevarranno ancora gli interessi finanziari ed economici dei singoli Stati membri. L’intesa tra Germania, Olanda e Finlandia si pone sulla scia della prima triste troika, di cui la Grecia, solo qualche anno fa, ha sperimentato e sofferto la crudele e glaciale politica rigorista correlata ai trattati di Maastricht e di Lisbona. Non è nelle corde di questa Europa solidarizzare con i più bisognosi e i più infettati dal virus tra i singoli Stati che la compongono. Non sembra nemmeno sperabile che questa politica, legata alle percentuali del pil e dei debiti di bilancio, venga dismessa a coronavirus sconfitto. Anzi se qualche aiuto verrà da Bruxelles, questo verrà usato come arma di ricatto nei confronti degli Stati in maggiore difficoltà. Il caso della Grecia insomma sembra destinato a moltiplicarsi. Previsioni dolorose queste, ma che rischiano di essere confermate dall’incapacità di scenari alternativi.

Da più parti si invoca una nuova e diversa Europa. Ma se poi si chiede cosa concretamente significa questo, le risposte sono incerte e poco convincenti. E’ il tipo caso in cui i concretisti hanno comunque la meglio, in quanto i sognatori del nuovo non sono attrezzati a formulare proposte alternative concrete, appunto. Ci si richiama ai padri fondatori e ancora di più ai teorici dell’unità europea, com’è giusto e opportuno, ma soltanto questo non basta. Tutti questi anni vissuti in Europa dal 1956 sotto la dominanza dell’economia e della finanza non possono essere d’altra parte buttati alle ortiche di punto in bianco. Qualcosa di positivo c’è stato, ma per una nuova e soprattutto diversa Europa dovrà pure dir qualcosa l’economia trasformata a livello mondiale dal progressivo assottigliamento delle risorse naturali per arrivare alle nuove fonti di energia per lo sviluppo e all’era informatica con bisogni inediti e pressanti; per una politica economica diversa insomma bisogna prepararsi a disegnare scenari credibili e accettabili, in cui abbiano sempre meno spazio i sacrifici richiesti agli europei e invece maggiore ricerca degli strumenti finalizzati al miglioramento della società europea. Gli stessi termini di crescita e sviluppo non sono più proponibili secondo i vecchi parametri. In tempi di crisi e di pandemia come questi il massimo impegno andrebbe dedicato alla ricerca delle modalità alternative dell’Europa di domani.

25/03/2020