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Riviera dei Cedri :: I porti turistici: un’occasione di sviluppo.

RIVIERA DEI CEDRI :: 28/09/2008 :: La fine dell’estate sembra essere coincisa con l’inizio di un acceso dibattito che sta solcando due fra i principali centri dell’alto tirreno cosentino e di riflesso tutto il comprensorio, sul ruolo dei porti turistici e sulla fattibilità per le nostre coste, messe a dura prova da decenni di speculazioni edilizie. Si parla di inquinamento, di sconvolgimento di ecosistemi, di rischi di non balneabilità delle coste circostanti, di ulteriore cemento che si va ad aggiungere ad altro cemento.

La visione in questo caso è molto contrastante e, di conseguenza, accende molto il dibattito, che diventa rovente quando si associano anche motivazioni di natura ideologica.

Senza voler entrare nel merito del dibattito politico, verso cui non penso di essere adeguatamente preparato, ma cercando di soffermarmi sulla parte tecnica e ambientale, desidererei dare una risposta alle seguenti domande che, ritengo, essere pertinenti al caso: in primo luogo un porto turistico rappresenta un ulteriore attacco alla nostra già martoriata costa, oppure è un occasione di riqualificazione urbana? E poi, il porto è un’ulteriore fonte di inquinamento oppure può essere un’occasione da cogliere per favorire e ancor di più stimolare il processo di disinquinamento?

Prima di rispondere, cercando di argomentare al meglio la mia opinione, vorrei spendere due parole sulla fattibilità ambientale delle opere pubbliche in generale: sono sempre negative? La domanda mi è sorta durante i miei anni universitari e nei successivi anni di dottorato, quando iniziando prima e approfondendo poi le tematiche relative alla progettazione, all’impatto ambientale delle opere (in particolare delle opere idrauliche e marittime), i miei docenti affermavano sempre che tutte le opere vanno ben inquadrate nel contesto ambientale in cui vengono costruite e l’ingegnere dovrebbe imparare a dire “si o no” in base alle evidenze che scaturiscono dagli studi di base: se l’interazione fra le opere e l’ambiente circostante genera impatti negativi, si deve avere la forza e il coraggio di dire “no”, ma se questo non è, perché privare la comunità di qualcosa che potrebbe significare una grande occasione di sviluppo, benessere, posti di lavoro, riqualificazione ambientale e architettonica?

Questo tipo di approccio cozza, però, con ciò che quotidianamente accade allorquando si decide la costruzione di un’opera strategicamente importane e, quindi, spesso anche impattante: manifestazioni, blocchi stradali, donne e uomini politici locali e nazionali che, cavalcando paure e malcontenti, fomentano le rivolte.

L’ultimo anno (e le ultime elezioni politiche) ha forse decretato (e certificato con il voto) la morte di un certo tipo di ambientalismo del “no senza se e senza ma”, cedendo il passo a posizioni più razionali e possibiliste, che non prevedono di consentire e benedire scempi ambientali, ma semplicemente, una volta verificata la fattibilità tecnico-ambientale, spingere affinché siano poste in essere tutte le attenzioni progettuali per minimizzare gli impatti negativi ed esaltare quelli positivi.

Ci sono schiere di giovani tecnici e politici che hanno imparato dagli errori passati, anche grazie a guide esperte e consapevoli, che la natura prima o poi si ribella e uno “scempio” si ritorce contro, moltiplicato con gli interessi.

I porti turistici sono un tipico esempio di ciò che sto dicendo.

In queste poche righe non sono volutamente entrato nell’analisi dell’impatto che hanno la costruzione dei moli foranei sulla morfodinamica costiera: lo ritengo un argomento specifico che merita un contributo a parte, che spero di fornire al più presto.

Perché in alcuni paraggi i porti funzionano male e in altri, invece, bene? Per fatalità? Perché Nettuno ed Eolo si scagliano solo contro alcuni, benedicendo altri?

Ovviamente no. La differenza sta nel fatto che alcuni sono stati ben studiati, progettati e costruiti secondo la normativa vigente e le buone pratiche costruttive, mentre altri sono stati posti in essere seguendo solo logiche politiche, senza valutare a fondo se il sito individuato fosse adatto ad ospitarli e senza porre in essere le migliori soluzioni mitigatrici degli impatti.

La Calabria ha bisogno di porti turistici, per trasformare in senso qualitativo e far crescere l’unica sua impresa possibile ed ecocompatibile: il turismo. La Calabria con i suoi 741 km di costa (circa il 12% dell’estensione di costa nazionale, isole comprese) possiede solo il 2% dei posti barca e una densità di approdi turistici di appena 5 ogni 100 km di costa: è una situazione, penso, paradossale.

Per dare un’idea della concorrenza in questo campo, basti pensare che la Sicilia ha circa 13 % della costa Italiana e il 9% dei posti barca per un totale di circa 13 porti per 100 km, mentre la Puglia ha il 12.5% delle coste italiane, il 7.80% di posti barca per un totale di circa 9 porti per 100 km di litorale. Fuori da ogni confronto, poi, sono Veneto, Liguria, Friuli Venezia Giulia, Toscana, Abbruzzo, che pur avendo litorali molto più contenuti, hanno un numero di posti barca molto elevato con densità che superano i 10 porti per 100 km.

Un porto turistico deve essere bello, altrimenti gli appassionati (in crescita costante) non arrivano e il tutto fallisce miseramente e in più un porto turistico realizzato oggi, a parte le procedure e l
e verifiche ambientali previste dalla normativa ordinaria sulle opere pubbliche (D.L.vo 163/2006 – Codice dei Contratti e il D.L.vo 152/2006 – Codice dell’Ambiente), deve soddisfare requisiti di qualità più stringenti contenuti nel decreto “Burlando” (G.U. n. 98 del 29/04/1998) ed essere conformi alle regole stabilite nel Codice della Navigazione (D.L.vo 171/2005) e alle “Raccomandazioni tecniche per la progettazione dei porti turistici” edite dall’AIPCN-PIANC.

Un porto turistico può diventare, quindi, un’occasione di riqualificazione urbana e ambientale oltre che è una evidente dimostrazione che è possibile coniugare il bello con il funzionale, il naturale e l’artificiale, lo sviluppo con la tutela dell’ambiente.

Un porto turistico vuol dire anche bar, ristoranti, vuol dire maestranze specializzate e tutto l’indotto lavorativo conseguente.

Ci si potrebbe chiedere: gli olii motore, il gasolio, le acque di sentina, che fine fanno?

Oggi non è più possibile usufruire del servizio di ormeggio disgiunto dai servizi essenziali: le colonnine sui pontili e le banchine devono essere collegate alla fornitura idrica ma anche alla fognatura per le acque nere e alla linea in depressione dedicata alle acque di sentina (che vanno pretrattate prima di essere smaltite in fognatura), per cui il navigante, che normalmente possiede anche una sensibilità ambientale superiore alla media, non ha più alcun interesse a scaricare tutto in acqua, visto che lo il servizio comunque lo deve pagare (di solito anche profumatamente), oltre che rischia multe non proprio simboliche (le rischia anche il gestore del porto).

Si aggiunga a questo il fatto che, nella stagione estiva, la più critica in termini ambientali, tanti dormono all’interno delle barche e non penso che siano felici di avere a un metro dalla testa, chiazze di olio, gasolio e liquame galleggiante e maleodorante.

Un porto turistico non ha le stesse problematiche di un porto commerciale e pescherecci, ha impatti negativi completamente diversi e sicuramente meno pesanti e, viceversa, ne ha tanti positivi che aspettano solo di essere colti.

In definitiva a parte l’elencazione dei successi e degli insuccessi realizzativi, penso sia il caso di valutare quale sviluppo si cerchi e, di conseguenza, agire affinché si possano raggiungere gli obbiettivi prefissati. Si vuole inseguire ancora quel modello di turismo così ben descritto dal cantautore napoletano Tony Tammaro qualche anno fa, oppure lavorare per aumentare la qualità dei servizi offerti (magari imparando anche ad essere più gentili ed accoglienti)?

Oggi ci sono località turistiche non lontane da qui (Spagna, Grecia e ora anche Tunisia, Marocco e Turchia) che possono offrire le stesse nostre opportunità a prezzi (viaggio compreso) molto minori; perché, allora, i turisti dovrebbero venire qui da noi?

Giuseppe Maradei