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“Tastiera o testiera?” di Enrico Esposito

di Enrico Esposito

Durante l’isolamento Facebook, Instagram, Tweet sono stati di grande aiuto, quando ci si è ricorsi correttamente. Eppure su questi stessi spazi le accuse non sono mancate, con un corredo di ricusazioni non indifferenti. La previsione di Umberto Eco sui milioni di imbecilli che si sarebbero serviti del web per ammannire al resto del mondo le loro idiozie è stata la pezza d’appoggio di tutte le recriminazioni contro questo straordinario mezzo di comunicazione.

E si è arrivati alla creazione di un luogo comune, che di certo Umberto Eco stesso non avrebbe gradito. Sappiamo quanto aborrisse les idées reçues il grande semiologo italiano e immaginiamo che non si augurasse la trasformazione in un modo di dire di una sua previsione fondata su un’analisi scientifica sostenuta a sua volta da una serie di osservazioni sulle reali condizioni dell’uso della tecnologia al servizio del linguaggio. E invece è facile imbattersi scorrendo le innumerevoli postazioni sul tema in giudizi taglienti e inviperiti contro i presunti imbecilli, accompagnati sempre dalla citazione della frase di Umberto Eco, puntualmente e non certo ingenuamente decontestualizzata.

In questa operazione gratuita, nel senso di deresponsabilizzata, tutti si ritengono al di fuori della sterminata area degli imbecilli, che finiscono per essere sempre gli altri. Un pizzico di autocritica sarebbe più che gradito, ma per ora non è dato registrarne. Se si aggiunge il sussiego con il quale gli intellettuali, presunti o sedicenti, trattano i social, è evidente che nessun vantaggio ne può derivare in fatto di misurata comprensione del fenomeno. Ma, viene da chiedersi, se gli intellettuali rifuggissero tutti dall’uso di tanto importanti strumenti, che meraviglia, stupore o addirittura scandalo dovremmo mai provare se venissero abbandonati soltanto a vantaggio degli imbecilli?

Per fortuna così non è, perché gli intellettuali degni di tale qualifica non disdegnano di ricorrere al web per intervenire su temi di attualità, per proporre loro riflessioni o anche solo per annunciare la pubblicazione di loro opere. Lo fanno perché consapevoli che, per quanto si possa storcere il naso di fronte alle nuove opportunità, non bisogna opporsi a priori come difensori gelosi, assoluti e misoneisti dell’antico modo di esprimersi e comunicare. Se questo oggi è il modo di comunicare, questi strumenti vanno usati, non fosse altro per non lasciarli in mano a chi ne fa un uso sconsiderato. D’altronde lo stesso Eco, come narratore non ha mancato di ricorrere anche ai mass media per imprimere ritmi e tempi che rendessero più immediata e accessibile la fruizione dei suoi testi. L’errore da evitare è quello di ricusare in blocco la immensa quantità di messaggi che circola oggi nel mondo, senza prima averli almeno letti. Un’operazione di grande onestà e umiltà, senza alcuna pretesa di esclusivo possesso di qualità espressive, creative e di controllo linguistico. Ciascun messaggio, anche il più fastidioso, contiene un’idea, una provocazione come usa dire oggi, un invito insomma a considerare aspetti che possono sfuggire anche alla più raffinata ricerca intellettuale.

Ma andrebbe evitato anche di rispondere piccati a tutto e a tutti. Si tratta di invece di praticare una sorta di tolleranza fondata sulla capacità di offrire esempi di controllo espressivo e di contenimento dell’aggressività di cui i grandi intellettuali, scrittori, pensatori e anche giornalisti sono titolari. Sono finalità educative queste, senza dubbio. Oggi Cicerone riproporrebbe la sua definizione di oratore, in tutta serenità: Homo bonus et dicendi peritus. Chi scrive, sembra ammonirci ancora oggi, prima di tutto deve essere un uomo intellettualmente onesto, amante della verità prima di ogni cosa, poi se è anche capace di esprimere al meglio tali sentimenti, tanto di guadagnato. Ma tutti possono fare questo? La risposta è sì, specie se non ci si lascia scoraggiare dal fatto che stultorum infinitus est numerus.