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“Vergogna! Vergogna!” di Enrico Esposito

di Enrico Esposito

E’ la parola più abusata degli ultimi tempi. In piena pandemia serve a sigillare ogni insulto, ciascuna offesa. Vergogna! Ci sarebbe da vantarsene, se servisse a denotare in tutti un sentimento di indignazione per le tante sgradite evenienze che ci avvolgono e coinvolgono da ogni parte. La condanna morale contiene in sé l’aspirazione a qualcosa di diverso dalle miserie attuali. Ma spesso la parola vergogna viene strumentalmente impiegata con l’intento di costringere l’avversario di turno a cosparsi il capo di cenere e a invocare perdono e pietà. Se poi questo avviene sul terreno politico la strumentalità dell’abuso risulta ancora più evidente e vergognoso, verrebbe da scrivere. Eppure è di antica data la cosiddetta shame culture che antropologi e psicologi americani hanno reso oggetto di studi e ricerche approfonditi. Risale al mondo degli eroi omerici, come ci svela in un bel saggio di dieci anni fa Eva Cantarella, docente di diritto greco antico e una delle più prestigiose studiose firme del giornalismo culturale non solo in Italia. Quando esamina La scelta di Ulisse ci ricorda che la cultura di vergogna nasce in seno a società in cui rispettare le regole è l’obiettivo dominante che si realizza senza imporre alcun divieto. Basta proporre esempi e modelli positivi per indurre ciascun membro della comunità ad adottare comportamenti virtuosi e, in qualche caso, eroici appunto. Il divieto nasce invece nella guilt culture, la cultura di colpa. Certo i divieti e le sanzioni sono indispensabili nel momento in cui si ha torto, mentre per la verità non c’è alcun bisogno di alcuna coazione. E allora oggi, se si vuole strumentalizzare, si deve ricorrere a presentare comportamenti sgradevoli come colpa da destinare al senso lacerante della vergogna, che alla fine altro non è che una sanzione di tipo sociale. E’ per ottenere la riprovazione sociale che tutto si strumentalizza, tutto si risemantizza e tutto viene colpevolizzato. Basta un uso disinvolto della menzogna, delle fake news e il gioco spesse volte riesce. Così diventa colpa salvarsi da un pericolo, ancora più grave si impiega denaro pubblico o privato per salvare la pelle e ritornare a casa, rivelando in tal modo una concezione del denaro non come strumento ma come fine, da non disperdere nemmeno in casi disperati ed estremi. Nell’altra parte del mondo antico, a Roma per intenderci, si erigevano addirittura statue al Pudor riguardato come divinità. Però tutto veniva concepito nell’ambito del prepon greco e del decorum romano. La differenza con il nostro infettato mondo salta agli occhi immediatamente. Il consenso sociale è necessario come l’aria in una comunità. Ma per ottenerlo è altrettanto necessaria un’azione educativa conseguente. E se questa è necessaria, vuol dire che manca o è stata depotenziata nel tempo. Riprendere il discorso formativo sui concetti di colpa e di giustizia è allora l’impegno che tutte le agenzie educative, scuola, famiglia, parrocchia, associazioni di ogni genere devono assumere come tra le finalità prioritarie e irrinunciabili. Se si continuerà a non farlo, allora sì, sarebbe una vergogna.