fbpx

Rende :: Il capannone del Filorosso raso al suolo.

RENDE :: 10/08/2011 :: Lo scenario è davvero postatomico: il capannone del Filorosso raso al suolo, quello del Libero Teatro una montagna di lamiere contorte, il capannone di Rossosimona completamente sventrato su un fianco. Tutto è immobile, non ci sono operai, né ruspe né camion stamattina al Polifunzionale dell’Unical, né forze dell’ordine a presidiarne il lavoro.

La zona è sorvegliata a vista, e ai vigilantes è stato ordinato di non fare avvicinare nessuno a ground zero: pare che l’aria non sia proprio salubre, frammenti di lana di vetro sono stati sparsi ovunque dalla furia demolitrice delle ruspe. Ora sì che l’area è veramente degradata. Fino a ieri quel luogo rappresentava con il suo centro sociale e i suoi teatri, un’esperienza unica e irripetibile di autoproduzione culturale, che nasce e cresce nel Sud Italia, all’interno di un ateneo, grazie all’incontro fra studenti, laureati, artisti. Quelle baracche avevano, è vero, un nome infelice – si chiamavano “Morteo”, quasi a presagirne la fine – ma rappresentavano la nostra archeologia industriale, il passaggio dall’università delle discipline – organizzate in compartimenti stagni – all’università dei saperi liberi ed ibridi, in continua mutazione. Erano l’antidoto alla desertificazione del Campus, perché pulsavano di vita la sera, la notte, nel week-end, offrendo soprattutto agli studenti fuori sede e agli Erasmus indimenticabili momenti di formazione e di vita comune.
Quelle baracche potevano essere messe a norma e valorizzate, come in altre parti del mondo è avvenuto con risultati straordinari in termini di rilancio dei luoghi e delle comunità che vi insistono. Potevano rientrare a pieno in un’illuminata strategia di marketing di un ateneo che guarda lontano, coglie la crisi in atto e scommette, senza spendere un euro, sui gusti e i consumi dei giovani che scelgono dove studiare anche in base a quello che il territorio di riferimento offre in termini di attrattiva socioculturale. Ma la politica dell’ateneo è chiaramente orientata alla provincializzazione piuttosto che all’internazionalizzazione: i cosentini all’Unical rappresentano il 70% degli iscritti (il 90% è comunque calabrese) mentre fuori sede e studenti stranieri sono una minoranza abbandonata a se stessa (d’altronde le minoranze per Latorre sono un cancro, non un valore!).
Il Campus oggi è il sogno incompiuto di Arcavacata. Quella cittadella delle giovani creatività ed intelligenze, impegnata nello studio e nella costruzione di un’alternativa per questo nostro Sud, che si mescola con le culture del mondo e sperimenta modelli di vita e consumi alternativi, è rimasta una fantasia da frikkettoni e ha ceduto il passo ai peggiori mali delle città del sud, dal traffico alla burocrazia, all’ignoranza ed arroganza dei governanti. Il disegno normalizzatore è chiaro quanto perverso e ha trovato oggi un alleato forte nella Procura di Cosenza. Una questione politica diventa questione di ordine pubblico quando la politica abdica al proprio ruolo e affida i propri problemi alla magistratura. Non si spiega altrimenti la chiusura totale del magnifico verso il Filorosso, nonostante la nostra disponibilità a trattare per un altro spazio. Tutti e tre i capannoni erano abusivi e comunque occupati e utilizzati: perché solo gli attivisti di Filorosso vengono denunciati (i reati contestati sono, lo ricordiamo, occupazione, interruzione di pubblico servizio, furto di corrente, come se l’occupazione fosse avvenuta da qualche giorno e non 15 anni fa)?
Perché il Filorosso è un’isola di resistenza ed assieme di sperimentazione pratica di un modello di vita differente, seppure i revisionisti di ieri e di oggi ci provano sempre a cambiare questa realtà o la sua memoria. Vecchi tromboni vorrebbero insegnarci – a noi che li abbiamo vissuti negli anni Novanta con le loro trasformazioni fino a oggi – cosa sono gli spazi sociali: ma hanno fatto mai costoro un giro fuori dal recinto, in giro per l’Italia, o nel resto d’Europa, per vedere come si gestiscono e si finanziano i centri sociali, quante attività vi sorgono dentro, dalle cucine sociali, ai pub, alle birrerie, alle sale da concerto, alle discoteche popolari, che consentono ai militanti di fare auto reddito e ai progetti politici di andare avanti? Come pensiamo, altrimenti, che possano sopravvivere servizi sociali autorganizzati, progetti culturali, radio, giornali, teatri e cinema, che non ricevono certo sostegno dagli enti pubblici? O come pensiamo altrimenti di sbarcare il lunario, vendendo i nostri cervelli a qualcuno per un salario precario e da fame? Il nostro obiettivo non è mai stato il profitto: alle nostre feste gli studenti si portano da bere da casa (difficile che una simile pratica prenda piede nei locali privati!), vengono perché amano la nostra musica, perché in essa e nel luogo in cui l’ascoltano si riconoscono, come studenti e cittadini dell’ateneo. Mai un incidente, nessuna insicurezza, perché i luoghi vissuti sono piuttosto fonte di sicurezza e perché era presente a tutti l’importanza di un luogo che ha sopperito per oltre 15 anni all’ingiustificata assenza dell’istituzione sulle politiche di aggregazione degli studenti.
Colpiscono infine le parole di un rettore che chiama estranei i fondatori del centro sociale, persone che conosce benissimo, per avergli insegnato, per aver firmato le loro lauree o un contratto di lavoro precario o una denuncia, per tutti gli scambi dialettici avuti. Che professore può mai essere questo rettore bugiardo? Quindici anni sono una vita e ci conosciamo molto bene, rettore: forse per questo ha rinunciato definitivamente al tentativo di piegarci, preferendo spezzare quanto non è riuscito ad addomesticare.
Ma la nostra rivoluzione non finirà sotto le ruspe. Ringraziando tutti i fratelli e le sorelle che in questi giorni ci stanno manifestando la loro vicinanza e la loro solidarietà umana e politica, lanciamo sin da ora un appello ai singoli e alle associazioni, per la costruzione di una grande manifestazione all’Università della Calabria in autunno, contro il potere distruttivo dei governanti e per la difesa e il rilancio degli spazi di autonomia culturale, sociale e politica in Calabria.

Filorosso ‘95