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Caligiuri (Eurispes): “Il Parlamento si deve occupare dell’educazione prima dell’economia”.

ROMA :: 27/02/2022 :: I dati del sistema educativo nazionale sono da anni davanti agli occhi di tutti. Nelle classifiche internazionali, gli atenei italiani affannano e nelle prestazioni scolastiche ricopriamo gli ultimi posti delle graduatorie, evidenziando peraltro un abisso tra Nord e Sud, che non si è colmato neanche nei 160 anni di storia unitaria. Non possono esserci evidenze più chiare per dimostrare che la strada che stiamo percorrendo probabilmente non sia quella giusta. Non occorrono interventi di dettaglio ma politiche strutturali che richiedono tempo, distinguendo le sfide contingenti da quelle di lunga durata.

“Nell’educazione tutto accade cinquant’anni più tardi”

Infatti, come spiega Koeno Gravemeijer, della Eindhoven University of Technology, “nell’educazione tutto accade cinquant’anni più tardi”. Per cui, come il boom economico degli anni Sessanta venne accompagnato dalla riforma Gentile del 1923, adesso stiamo sperimentando, nel bene e nel male, gli effetti delle politiche educative del Sessantotto. Secondo noi il punto di partenza è che al centro delle scelte politiche della società italiana non debba esserci l’economia ma l’educazione. E che l’educazione non lo sia affatto, lo dimostra in modo eloquente la circostanza che quando il 3 febbraio 2022 Sergio Mattarella si è reinsediato come Capo dello Stato, durante il suo intervento di 40 minuti ha ricevuto 55 applausi, e, tra questi, quello sull’educazione non c’era.

Infatti, il tema dell’educazione non è nei radar del dibattito politico e culturale, e viene ridotto a fatti specifici, come la DAD, dove si parla di procedure e mai di contenuti o di qualità degli insegnanti. Quello dell’educazione, come tutti i grandi temi sociali, è la conseguenza di scelte politiche e di comportamenti individuali. Concorrono il sistema mediatico e quello culturale.  Ma più che soffermarsi sugli effetti, occorrerebbe indagare seriamente le cause.

Una crisi specifica delle teorie educative in tutto il mondo

Esistono indubbie responsabilità interne al mondo dell’istruzione. Scuola e università, spesso invocate nella soluzione dei problemi sociali, rappresentano invece parte rilevante dei problemi. C’è anche una crisi specifica delle teorie educative in tutto il mondo, per via delle evoluzioni sconvolgenti degli ultimi anni, con l’uso di parole scadute e, nel caso italiano, l’emergere progressivo di un’antilingua che, in alcuni manuali di pedagogia, viene utilizzata per eludere più che per descrivere la realtà. Eppure l’educazione è centrale per il futuro di qualunque paese. In base a tutti gli indicatori, in Italia, sebbene abbia svolto e stia svolgendo un ruolo di promozione sociale importantissimo, consentendo l’ascesa sociale di milioni di italiani, il sistema dell’istruzione sta perdendo terreno rispetto agli altri, con le derive direttamente collegate dell’inefficienza istituzionale, della corruzione pubblica e della criminalità organizzata.

Occorre avviare un dibattito politico e culturale nel nostro Paese sul tema dell’istruzione

Investire qualitativamente nell’istruzione conviene a livello nazionale, poiché, com’è noto, c’è un rapporto diretto tra qualità scolastica e aumento del Pil. Non a caso i paesi che investono di più in istruzione diventano più ricchi e in Italia anche un piccolo aumento negli indicatori Ocse-Pisa potrebbe comportare un aumento del Pil del 5%. Occorre avviare un dibattito politico e culturale nel nostro Paese sul tema dell’istruzione, come fatto negli Stati Uniti nel 1983. Allora l’occasione fu il rapporto A Nation At risk: The Imperative for Educational Reform, in cui, in tempi di guerra fredda, il basso livello dell’istruzione veniva collegato direttamente con la sicurezza nazionale; tema fondamentale anche in questo preciso momento, esposti come siamo a potenti venti di guerra. Sempre negli Stati Uniti, nel 1966 il rapporto Coleman aveva spiegato che intervenire nella qualità degli edifici scolastici, nelle tecnologie dell’istruzione, nel cambiamento dei programmi, serviva a poco se non si interveniva prima e contemporaneamente nei contesti sociali, familiari e urbani dei singoli studenti. L’unico elemento che poteva produrre qualche differenza era rappresentato dalla qualità degli insegnanti.

Educazione, la qualità degli insegnanti è fondamentale

Pertanto, la qualità dell’insegnanti diventa fondamentale. Secondo Piero Calamandrei, la scuola dovrebbe essere considerata “un organo costituzionale”, per cui la mancata qualità dell’istruzione e quindi della inadeguatezza di chi la impartisce, cioè insegnanti scolastici e universitari, potrebbe rappresentare una “violazione costituzionale”. Infatti, è determinante la qualità dei dirigenti e dei docenti. Tra questi ultimi nelle scuole ce ne sono circa 200mila senza abilitazione, con rischi di danni permanenti sull’educazione degli studenti. Negli atenei, invece, con le abilitazioni di massa, si sta creando un pericolosissimo precariato universitario che si aggiunge a quello esplosivo generato nel mondo scolastico.  Pertanto, vanno prioritariamente rivisti i meccanismi di formazione, selezione e valutazione di dirigenti e docenti. Il mio punto di osservazione, la Calabria, a volte restituisce dati devastanti.

Mario Caligiuri, Direttore Osservatorio sulle Politiche Educative dell’Eurispes e Docente dell’Università della Calabria.