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Diario Spagnolo :: Trasferta Inglese.

DIARIO SPAGNOLO :: 18/02/2009 :: Ho sempre pensato che Londra fosse una capitale come le altre, in cui si annusa l’aria di una metropoli, in cui si percepisce la sensazione di stare in un posto più ampio di quanto si possa pensare, un centro d’affari e non solo nel quale vivere durante la giornata per lavorare e poi, in serata, andare via, quasi fuggire da questo gigante europeo, quale, appunto, pensavo fosse Londra.

Ovviamente non è così. Dico ovviamente perché dopo averla visitata, mi rendo conto di quanto potesse essere errato questo mio pensiero e privo di coscienza in quanto sono rimasto stupito dalla singolarità (altro che una capitale come le altre) dalla poliedricità e dalle sorprese che riserva la capitale inglese. Il mio viaggio inizia, ancora una volta, dall’aeroporto di Alicante, solite file, soliti controlli, solite sale d’attesa con annesse poltroncine che riempiono gli spazi e rendono più confortevole la sosta prima d’imbarcarsi. Le nuvole sono sotto i piedi, e ci sono soltanto altre poche circostanze che riescono a generare in me un forte senso di meraviglia, nella cabina il personale di bordo si dà da fare ed intanto ognuno si gode o patisce a suo modo il viaggio. London Stansted è l’aeroporto verso il quale siamo diretti, le luci cominciano a pulsare, più ci avviciniamo a terra e più ogni elemento acquisisce limpidamente le sue forme, si vedono sulle strade i sensi di marcia contrari che urlano a gran voce quanto sia curioso questo costume inglese, ma va bene così.  All’aeroporto prendo il bus che mi porta al centro, mi dicono che ci vuole un’oretta per arrivare, così con la testa schiacciata sul finestrone mi lascio scorrere negli occhi il cielo nuvoloso e le verdi campagne che, a quanto pare, circondano l’area londinese. L’impatto con la rete metropolitana, non appena arrivato nella stazione di Victoria, non è stato poi così ostico, a differenza di quanto dicono sulla famosa metro di Londra, come sempre, tutto è ingigantito e basta una piccola mappa, un po’ di orientamento ed in poco tempo si entra nel sistema delle “Key to lines” quali per esempio Northen, Piccadilly, Hammersmith & City e Circle (la linea più utilizzata in questa breve visita inglese). Il cielo è nuvoloso, il freddo riesce a passare ed arrivare sulla pelle, ma non è poi fastidiosissimo, l’albergo è a Bayswater, per cui la meta non può essere altro che questa per il momento. Palazzetti dall’altezza che riesce a contenere solo tre piani, le famose porte di casa precedute dagli scalini che collegano l’entrata o l’uscita sulla pubblica via e le cabine telefoniche: neanche le vedo che già sono avvinghiato ad una di queste in posa per scattare una foto. Che idiozia! In effetti non sarebbe tanto fuori luogo un tale commento, ma ormai è andata. Italiani! Italiani, Italiani ed ancora noi: Italiani. A non finire, da credere che sia uno scherzo, da credere di aver sbagliato aereo, da credere che Firenze o Milano o Perugia me le ricordavo diverse, “non posso essere in Italia”, ho cambiato anche i soldi. A proposito, i soldi ed in particolar modo i pounds, sono come la varicella o il morbillo: sai che li hai avuti, non ricordi quando, ma la cosa certa è che ora non li hai più. Volano. Potrebbe anche essere un mio problema quello di tirare fuori il portafoglio troppo spesso, ma non credo di avere questo vizio, e, qualora ne fossi affetto, di sicuro a Londra, visto l’andazzo, ho cercato di contenermi. Eppure del denaro londinese posso dire “Ei fu”. Si comincia ad organizzare un po’ ciò che, come prima visita (e sicuramente non l’ultima) londinese, va visto, per cui: Big Ben e suoi dintorni, National Gallery e British Museum. Giusto perché, forse, ancora non ho un’idea precisa di quanti connazionali si possano incontrare per strada nella capitale inglese, chiedo informazioni ad un passante che risponde “Italiano?Anche io”, e mi rendo conto che la probabilità è altissima. Ringrazio e vengo inghiottito dalle scale mobili della stazione di Bayswater. Tra il via vai della gente raggiungo l’uscita della metro di Westminster e, lentamente, appare ai miei occhi il Big Ben incastrato in questo grigio cielo che comincia a rega
lare gocce di pioggia finissima, leggera che si posa sul mio incerato. Per la prima volta, come già ho avuto modo di dire sopra, non percepisco l’atmosfera tipica di una capitale, c’è aria, la vista non è oppressa dalle altissime costruzioni cui siamo abituati noi Italiani, tutto sembra un’ordinata collocazione di villette adagiate su strade larghe e spaziose. Ecco cosa ho sentito in quel momento: spazio, ampiezza, capienza. Il London Eye mi guarda dall’altra sponda del Tamigi, delle barche turistiche, coperte ed appiattite per permettere il passaggio sotto gli archi dei ponti, navigano sulle sue acque e quel rumore misto di scarpe che camminano, risate e macchine che si muovono sulla strada, fa da colonna sonora a questo morbido e ricco quadro in cui il tempo è scandito dal ritmo della pioggia, che però la senti solo sulla pelle, sul viso, non disturba, è come se fosse un tocco d’arte. Il semaforo dei pedoni è verde, leggo a terra “look right” ed infatti alla mia destra ci sono auto in attesa, esattamente nello stesso senso di marcia che altrimenti, in tutti gli altri paesi del mondo, vorrebbe che le auto in attesa fossero alla mia sinistra e non a destra. Comunque sia, attraverso, cammino ed arrivo alla National Gallery.  Il museo è diviso in quattro parti, ognuna delle quali contiene alcune opere di determinati secoli. Sono rimasto affascinato da un dipinto che, più di tutti, non è riuscito, fortunatamente, a fuggire dalla mia testa. È l’opera di Holbein ed è intitolata The Ambassador. In questa è presente un effetto prospettico di una figura che sta al centro del quadro e che, guardandola dal lato destro, si palesa un teschio. A sinistra, in alto, invece, c’è un crocifisso, l’idea, quindi, della morte e della salvezza che si rivela a seconda del lato dal quale si osserva il dipinto. Stiamo parlando del XVI secolo. Per me, un’opera geniale. Comunque sia, nella National Gallery si scorrono dei Caravaggio, Rubens, Michelangelo, Raffaello, Goya, Van Gogh, Monet, Cézanne, e chi più ne ha più ne metta. Sicuramente è un posto da visitare. Con gli occhi pieni di colori e meraviglia, si esce da lì, per andare a ripercorrere due milioni di anni della storia dell’uomo. Non esagero, perché siamo nel British Museum. C’è davvero tanto da vedere, conoscere, troppo per riportarlo in una cronaca di un viaggio. Dalle civiltà egizie a quelle sud-americane, babilonesi e greco-micenee, tanto e di più! Oltre a queste visite culturali, Londra è morbida nell’asfalto che ci guida lungo i suoi sentieri. Grazie a questi arriviamo a Whitechapel, il quartiere dove Jack The Ripper si divertiva a diventar famoso per il resto dei secoli, per i suoi atroci assassinii; mangiamo un hot dog mentre un’insegna dice che in quel palazzo visse uno dei maggior sospettati, durante le indagini per arrestare il serial-killer. Certo, un po’ di brividi salgono su per la schiena, ma tutto si conclude in una risata. Non si sa perché, ma il proibito, il dissacrante, il misterioso ed il violento, producono una leggera eccitazione. Dicono che in quei posti sia normale…immaginare di mettere i piedi proprio dove li ha messi, tanti anni fa, il ricercato londinese numero uno dell’epoca. Brividi, che poi col sole muoiono. Insomma, questa città si vive, si scivola, ti tiene sempre impegnato ad impegnare di più il tuo tempo. E le giornate passano. Un giro al Madame Tussauds, il museo delle cere, un altro mondo nel mondo, un'altra volta incanto e meraviglia per come sia facile stupire un uomo più volte nella stessa giornata. Scattano le foto con i primi ministri, con le star del secolo. Fotografie anche con Oscar Wilde, Hitchcock, Shakespeare, Jimi Hendrix, e così via. La notte ed il giorno si alternano e l’ultima mattina di visita nella capitale inglese, mi trovo nella metropolitana Northen, diretto a Camden Town. Un quartiere rock’n’roll, nient’altro da dire. Io mi sono semplicemente divertito nel poterci star dentro. L’orario di partenza si avvicina, devo lasciare questo ennesimo posto magico di questa città che mi ha stupito. Saluto i miei compagni di viaggio, saluto mio fratello che è stato con me e con la valigia alla mano e lo zaino in spalla vado verso l’aeroporto. Sono cosciente che ritornerò a Londra prima o poi. Nella cabina dell’aereo è terminata la fase del decollo, le cinture possono slacciarsi, gli mp3 possono accendersi, i computer possono utilizzarsi. Prendo il mio portatile, lo appoggio sul tavolinetto ripiegabile e l’euforia di scrivere di Londra, comincia a far saltellare le mie dita sui tasti: “Ho sempre pensato che Londra fosse una capitale come le altre,…”.

Maurizio Malomo

maurizio.malomo@email.it