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“Emergenze e permanenze” di Enrico Esposito

di Enrico Esposito

Prima o poi l’emergenza coronavirus passerà. Sarà un processo ancora lungo e doloroso, ma è nell’ordine delle cose che finisca. Ma anche quando tutto sarà finito o ci sembrerà che sia finito non spariranno come per incanto i tanti problemi che in questi giorni di pandemia abbiamo irresponsabilmente accantonato, aspettando tempi migliori. Quando tutto è finito, tutto ricomincia – diceva Corrado Alvaro. L’emergenza del momento potrebbe diventare normalità, ma quando questo accadrà altre emergenze si presenteranno e andranno ad ingrossare il già corposo fardello di permanenze derivate da emergenze ritenute superate

Non c’è dubbio che lunghi mesi di isolamento hanno scavato profondi solchi nel terreno sempre paludoso e viscido delle differenze sociali. Già il ceto un tempo definito medio, oggi espanso fino a diventare in taluni casi maggioranza della popolazione, si è andato sempre più impoverendo. Il vasto mondo medio delle partite Iva è stato esposto ad una crisi senza precedenti. I dati macroeconomici diffusi dall’Istat lo dimostrano e non è il caso qui di riportarli. La disoccupazione raggiungerà punte mai toccate prima, il lavoro sembra condannato ad una permanente precarietà, la pressione fiscale per forza di cose riprenderà ancora più accanita. Nel contempo altre emergenze sempre in agguato divenute intanto permanenze si affacceranno e non sarà certo un bel vedere.

Si prevede da parte degli analisti una nuova era pauperistica, come succede sempre nei grandi snodi della storia, nel corso della quale, breve o lunga che sia, le stesse istanze politiche e sociali saranno chiamate a rivedere motivazioni e prospettive. In questo scenario poco incoraggiante si aprono grandi spazi, a livello locale e globale, per la destra nazionalista e sedicente sovranista. Una miscela venefica di lagnanze nazionaliste e di arretramento dei ceti medi, partite Iva, professionisti e piccoli imprenditori occuperà il nuovo campo di una battaglia politica dagli esiti oscuri, con forti probabilità di ritorno all’indietro.

E’ come un orologio impazzito, in cui le lancette vivranno moti incontrollabili e resistenti a qualsivoglia regolarizzazione. La questione migranti si ripresenterà con la bella stagione più pericolosa di prima. Allora si vedrà se la lezione della pandemia sarà veramente servita a far rinsavire e preparare misure atte non tanto a fronteggiare una nuova emergenza, ma a reagire adeguatamente ad una permanenza solo trascurata.

Qualcuno non vede tempi belli per la sinistra politica e sindacale, anzi qualche analisi non sempre e non solo di avversari si fonda sulla convinzione che si determineranno situazioni di resa dei conti per gli errori commessi in precedenza. Il più eclatante tra questi è senz’altro l’aver abbandonato i temi tradizionali della difesa del lavoro e dei più deboli alla destra parafascista, di essersi attestata su posizioni neoliberiste a forti tinte illiberali, con l’illusione di falciare così l’erba sotto i piedi al nazionalpopulismo. Un errore di cui dovrà pure pagare il conto alla prima prova elettorale. Si è ancora in tempo per evitare la catastrofe, non solo e non tanto della sinistra ma di tutto il paese. Si richiede però grande coraggio e si impongono soluzioni radicali.

Allargare lo sguardo oltre i confini locali, superare il decisionismo emergenziale che tutti scontenta, pretendere che l’Europa non degrada a patria accogliente delle multinazionali indifferenti alle condizioni della stragrande maggioranza delle popolazioni, dovrà essere il tema primario fin da oggi, senza attendere oltre. C’è un tutto un mondo sommerso che attende per emergere di affidarsi ad una direzione politica consapevole e finalmente correlata non solo alle urgenze ma anche ai problemi ancora irrisolti del nostro tempo.