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Insieme agli Inschemical per dire NO alle mafie, SI alla “controinformazione”.

In ricordo di Peppino Impastato e di tutti i giornalisti vittime di collusioni, corruzioni ed interessi tra mafie e poteri.

di Carla Sollazzo e Inschemical

Cosimo Cristina, 3 maggio 1960
Mauro De Mauro, 16 settembre 1970
Giovanni Spampinato, 27 ottobre 1972
Carlo Casalegno, 29 novembre 1977
Peppino Impastato, 9 maggio 1978
Mario Francese, 26 gennaio 1979
Walter Tobagi, 11 maggio 1980
Giuseppe Fava, 3 settembre 1982
Giancarlo Siani, 23 settembre 1985
Mauro Rostagno, 26 settembre 1988
Giuseppe Alfano, 8 gennaio 1993

Non erano “poveri malcapitati”, uccisi perché avevano raccontato troppo, indagando su omicidi senza colpevoli, erano bravi Giornalisti, che svolgevano il proprio dovere di cronaca, facendo i conti con la propria coscienza, palesando, perciò, all’opinione pubblica quelle notizie scomode, che davano fastidio alle mafie e ai poteri.

Giornalisti che hanno colmato quei vuoti investigativi lasciati da magistratura e forze dell’ordine, uccisi in maniera misteriosa, “suicidati”; ad anni di distanza restano mezze verità, documenti scomparsi, depistaggi e, soprattutto, colate di fango, volte a screditarne la persona prima e il lavoro poi, segno questo che non erano scomodi solo per le mafie, ma anche per certi vertici del potere.

La storia di Peppino Impastato, di cui oggi ricorre l’anniversario della morte, è di quelle che scavano nel profondo. Nato in una famiglia di matrice mafiosa (il cognato del padre era il capomafia Cesare Manzella), ma capace di ribellarsi e di mettere in atto una vera e propria rivoluzione culturale, avviando un’intensa attività politico-culturale antimafiosa; prima fondando il giornalino L’Idea Socialista, poi costituendo il gruppo “Musica e cultura” (musica, cineforum, teatro, dibattiti, ecc.), infine dando vita a “Radio Aut”, radio libera e autofinanziata, attraverso la quale Peppino denunciava i delitti e gli affari dei mafiosi di Cinisi e Terrasini, in primo luogo del capomafia Gaetano Badalamenti, che svolgeva un ruolo di primo piano nei traffici internazionali di droga, attraverso il controllo dell’aeroporto.

Poi, c’era il suo impegno politico accanto ai gruppi di Nuova Sinistra e le lotte al fianco dei contadini espropriati per la costruzione della terza pista dell’aeroporto di Palermo, degli edili e dei disoccupati. Un percorso che lo portò a candidarsi, nel 1978, nella lista di Democrazia Proletaria, alle elezioni comunali; venne ucciso la notte tra l’8 e il 9 maggio del 1978, nel corso della campagna elettorale, con una carica di tritolo posta sotto il corpo adagiato sui binari della ferrovia. Stampa, forze dell’ordine e magistratura parlano di atto terroristico prima, di suicido poi, dopo la scoperta di una lettera scritta molti mesi prima; è’ l’inizio della “campagna del fango”.

Solo grazie all’attività del fratello Giovanni, della madre Felicia Bartolotta Impastato, e degli amici della Radio, l’inchiesta giudiziaria viene riaperta. Nel 1998 presso la Commissione parlamentare antimafia si è costituito un Comitato sul caso Impastato e il 6 dicembre 2000 è stata approvata una relazione sulle responsabilità di rappresentanti delle istituzioni nel depistaggio delle indagini. Il 5 marzo 2001 la Corte d’assise ha riconosciuto Vito Palazzolo colpevole e lo ha condannato a 30 anni di reclusione. L’11 aprile 2002 Gaetano Badalamenti è stato condannato all’ergastolo. Proprio sul depistaggio ancora oggi è aperto un fascicolo presso la Procura di Palermo.

Già la sera stessa dell’omicidio, accadono cose inquietanti. Un gruppo di carabinieri perquisisce la casa di Impastato e porta via l’archivio del giovane militante antimafia, senza stilare alcun verbale. Anni fa, il sostituto procuratore Franca Imbergamo era riuscita a farsi consegnare dall’Arma una copia del materiale sequestrato, ma si trattava solo di una minima parte. Su un foglio senza intestazione, risalente al 1978, era stato scritto: “Elenco del materiale sequestrato informalmente a casa di Impastato Giuseppe”. Ma il sequestro informale è una formula che ha poco di diritto, quei documenti sono insomma detenuti illegalmente nell’archivio dell’Arma dei carabinieri. Così, ad oggi, iscritti nel registro degli indagati ci sono quattro militari dell’Arma che parteciparono alle perquisizioni in casa Impastato dopo l’omicidio dell’attivista antimafia di Cinisi: il generale Antonio Subranni per favoreggiamento, Carmelo Canale, Francesco De Bono e Francesco Abramo per falso.

Durante una recente intervista a Salvo Vitale, il braccio destro di Peppino Impastato afferma: “Peppino è un personaggio ancora scomodo: si prova disperatamente ad istituzionalizzalo, ma ci si accorge che la sua figura ribelle e la sua carica eversiva rischiano di spalancare orizzonti pericolosi per l’ipocrisia del perbenismo borghese e il conformismo generalizzato”; orizzonti che, se spalancati sul serio, servirebbero proprio per compiere, come cantano gli Inschemical in “Controinformazione”, quei “100 passi di sincera libertà”: 100 passi per avvicinarci alla nostra coscienza e allontanarci dall’omertà, 100 passi per non dimenticare Peppino e gli “Altri”.

(Fonte: www.antimafiaduemila.com)