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L'altra intervista

di Yoani Sanchez

Non mi piace passare la vita a difendermi dagli attacchi, forse perché sono abituata a trascorrere molto tempo sotto il fuoco incrociato della critica. Ho imparato che a volte è meglio digerire l’insulto e andare avanti, perché denigrare sporca molto di più chi svolge una simile attività che la vittima. Malgrado ciò, a tutto c’è un limite. Non mi piace che mi mettano in bocca frasi che non ho mai detto, come è accaduto in un’intervista pubblicata da Salim Lamrani su Rebelión (http://www.rebelion.org/noticia.php?id=104205).

Leggendo le prime frasi non ho notato molte alterazioni, ma nella seconda parte non riuscivo a riconoscermi. Di sicuro l’introduzione cercava di generare avversione nei lettori verso la mia persona, ma questo fa parte del diritto di ogni intervistatore che è libero di presentare come crede la persona che intervista.

La grande sorpresa è stata constatare – mentre procedevo nella lettura del testo – incredibili omissioni, distorsioni e persino frasi inventate che non ho mai detto. Tutto questo sarebbe servito soltanto ad attribuirmi posizioni che non mi appartengono e affermazioni mai pronunciate, se i media cubani non si fossero apprestati rapidamente a dare risonanza a un’intervista artefatta. Ieri, quando ho visto il presentatore del più noioso programma televisivo ufficiale riferirsi – senza citare il mio nome – a una serie di domande che mi “mettevano a nudo”, ho cominciato a capire tutto. Il motivo di tale contraffazione non è stata la fretta nel trascrivere né il desiderio di un giornalista di comprovare a ogni costo le sue ipotesi distorcendo le parole dell’intervistato. Si sta tramando qualcosa di più grazie a questo testo semi – apocrifo e devo dirlo a voce alta per avvisare tutti nel percorso del mio blog.

Conservo un ricordo molto chiaro di quella sera di circa tre mesi fa – curiosamente il signor Lamrani ha impiegato tutto questo tempo per rendere pubblica la nostra conversazione – e delle parole che abbiamo scambiato. Rammento le sue domande stereotipate e a tratti disinformate sulla nostra realtà che ben poco assomigliavano a queste – cos&igra
ve; documentate – che ha dovuto modificare per sembrare uno specialista. Non sono abituata a rispondere con monosillabi, per questo mi costa fatica riconoscermi in tanta parsimonia. Mentre lo scambio di opinioni che abbiamo avuto nell’hotel Plaza andava avanti, era chiaro che aumentava la sua simpatia nei confronti delle mie posizioni. Alla fine mi sono resa conto che tra di noi era caduta ogni barriera e che aveva compreso che non eravamo avversari, ma soltanto persone che vedevano uno stesso fenomeno da ottiche diverse. Un suo abbraccio finale sembrò confermarlo. Ma, evidentemente, ha potuto molto di più la fedeltà alla “causa” che la sua etica di giornalista e il professore della Sorbona ha finito – in modo chiaro nella seconda parte dell’intervista – per adulterare la mia voce. Nel suo modernissimo Iphone le mie farsi moderate si devono essere trasformate in un virus informatico capace di corrodere gli stereotipi, un richiamo ad abbandonare lo scontro che persone come lui preferiscono alimentare.

Traduzione di Gordiano Lupi

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