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Paola :: L’Inno nazionale poco più che una marcetta? No, è semplicemente eseguito da cani.

PAOLA :: 25/06/2011 :: E’ l’esordio del professor Michele D’Andrea, storico, musicologo dell’Ufficio stampa del Quirinale che ha tenuto a Paola  la sua “chiacchierata musicale”  dedicata al 150° dell’Unità d’Italia. L’”Inno svelato”, questo il titolo della serata, si è svolto a Palazzo Stillo – Ferrara, nell’ambito della ventiquattresima Stagione concertistica dell’Associazione “Orfeo Stillo”, una realtà del Tirreno cosentino che, in un panorama culturale all’insegna dei “tagli” ancor più evidente nella nostra regione, riesce ancora a produrre cultura.

Alla manifestazione condotta da Giusy Ferrara erano presenti fra il numeroso pubblico gli assessori regionale e provinciale alla cultura Mario Caligiuri e Maria Francesca Corigliano, il consigliere regionale Gianpaolo Chiappetta e i sindaci di Fuscaldo e San Lucido Gianfranco Ramundo e Antonio Staffa.
La rappresentazione, dopo l’esordio avvenuto al Quirinale nel corso del settennato del presidente Ciampi, è stata proposta nelle università, nei conservatori, nelle scuole, nei comuni, nelle biblioteche, nei circoli culturali e nei teatri ed è stata l’unica data programmata per la nostra regione.
Il curatore dell’opera, Michele D’Andrea, ha alle spalle una carriera direttiva della Presidenza della Repubblica e si è occupato per molti anni di comunicazione istituzionale. Storico di formazione, D’Andrea è esperto di araldica, di cerimoniale e in materia onorifica.
L’Inno nazionale è stato adattato al cerimoniale militare monarchico e deve quindi seguire il ritmo degli onori alla bandiera : ecco perché, ha evidenziato D’Andrea, viene eseguito come una marcia, ma in effetti non lo è. Nell’epoca risorgimentale caratterizzata da una larghissima percentuale di analfabetismo, la comunicazione, il messaggio, veniva affidato all’unica forma di musica popolare del tempo : l’opera lirica una forma di trasmissione da tutti conosciuta.
<< Tutto gira intorno alla musica, è l’anello di congiunzione di tutti i popoli, di tutto il mondo. Gli inni nazionali sono l’esempio più semplice che uniscono milioni di persone sconosciute tra di loro >>. Così ha proseguito lo storico, attraverso un susseguirsi di cenni storici e di frasi celebri che ha trasportato il pubblico alla scoperta dell’importanza del nostro inno a confronto con quelli di altri paesi che spesso ci snobbano. Con ciò ha voluto evidenziare dunque l’importanza della funzione musicale rispetto a quella del testo, un testo di incitamento certamente importante, ma la cui forza e pregnanza venne sottolineata dalla sapienza compositiva del compositore genovese Michele Novaro. L’Inno di Mameli è una cabaletta, una precisa forma musicale derivata dall’opera lirica  che possiede una grande incisività e forza emotiva, grazie all’ andamento cantabile fluido e cadenzato ed è proprio quella la funzione che assolve appieno il nostro Inno.
<< Un inno deve funzionare, non deve essere né bello né brutto >>, ha spiegato ancora D’Andrea, per questo non era dato per scontato che dovesse essere composto da musicisti del calibro di Giuseppe Verdi o Arrigo Boito. Infatti le parole non sono il nocciolo ma è ciò che le accompagna che le rende uniche e indimenticabili, perché  << se la musica funziona tutto può diventare un sontuoso canto >>.
Dopo una prima bozza del 1847 intitolata “Inno militare” che durerà solo due mesi, nel 1848 viene composto l’inno definitivo con il testo scritto da Goffredo Mameli e la musica composta da Michele Novaro. Quest’ultimo, sconosciuto al grande pubblico, ebbe enorme successo nei teatri come tenore e vinse la concorrenza con Verdi e Alessandro Botte (primo a comporre una lirica per l’inno).
Il fatto che sia stato scritto da italiani rende il nostro inno ancor più unico: all’estero non è per niente una cosa scontata e sembra sia una rarità. Anzi alcuni inni sudamericani a cominciare da quello brasiliano, sono anch’essi delle cabalette composte da compositori italiani che, in seguito al forte flusso migratorio dell’epoca, hanno esportato laggiù anche il nostro melodramma.
L’inno americano, invece, non è altro che la produzione di alcuni membri di un club londinese di fine ‘700. L’inno tedesco è un clamoroso “furto” fatto all’Impero asburgico dopo la sua caduta nel 1918 e riadattato dalla repubblica di Weimar nel 1922 con parole di un oscuro poeta non noto. Nei 130 anni precedenti i patrioti tedeschi cantavano sulle note di “God save the Queen”, l’inno inglese. La Svizzera addirittura ha usato l’inno d’oltre manica fino al 1961. L’Olanda intona ancor oggi a fine inno le parole di quello iberico, “onore al re spagnolo”.
<< La nostra lirica è unica e cadenzata perfettamente con le parole ma non sempre si riesce o si vuole riprodurla al modo giusto>>. Queste le conclusioni del professor D’Andrea.
Ovviamente, la conferenza non poteva non concludersi con l’intonare collettivo dell’inno così come dovrebbe essere cantato, con vera e pulsante passione.

Adriana Sabato
adriana.sabato@calnews.it