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Scalea :: Vendita terreno comunale: l’avvocato Cristiani risponde al consigliere Francesco Acquaviva.

SCALEA :: 13/07/2011 :: La grossolana superficialità dell’articolo pubblicato sul sito di Radio One Scalea lo scorso 9 luglio a firma del Dott. Francesco Acquaviva, consigliere comunale di maggioranza del Comune di Scalea, può suscitare nei lettori una impressione erronea sulle questioni amministrative e processuali che riguardano alcuni miei assistiti; quale loro avvocato, mi sento pertanto obbligato a intervenire sul piano strettamente tecnico, anche al fine di ristabilire la verità dei fatti.

Conviene anzitutto premettere che, a differenza di quanto affermato dall’autore dell’articolo, la delibera comunale di cui si tratta non ha affatto trasferito ai miei assistiti la proprietà di un terreno, né essi ne avrebbero in alcun modo avuto bisogno: infatti, ne erano già divenuti automaticamente ed ex lege i proprietari, avendone avuto il possesso per oltre vent’anni. Come sanno non solo le matricole di Giurisprudenza, ma anche i profani di diritto, si tratta dell’istituto dell’usucapione, che è disciplinato dagli articoli 1158 e seguenti del Codice Civile.
Volendo formalizzare tale acquisto della proprietà soprattutto dal punto di vista fiscale, i miei assistiti avevano adito il giudice ordinario, affinché accertasse l’intervenuta usucapione. Si trattava di una mera presa d’atto del possesso ultraventennale, ma che avrebbe comportato le lungaggini e i costi (purtroppo) caratteristici del processo civile, e ciò a carico non solo dei miei assistiti, ma anche del Comune di Scalea.
In casi del genere, è usuale che tali lungaggini e tali costi siano evitati mediante un accordo, con il quale la Pubblica Amministrazione prende atto dei diritti civili acquistati ipso iure dal privato (evitando così di spendere inutilmente denaro pubblico per farsi assistere da un avvocato e di andare incontro ad una condanna alle spese di lite) e il privato acconsente a pagare una somma di denaro (risparmiando così a sua volta le ingenti spese legali e i tempi di attesa lunghissimi che occorrono generalmente per una sentenza civile).
La contestata delibera di Giunta n. 103 del 21 giugno 2011 si è appunto limitata a formalizzare un accordo siffatto: il Comune non ha quindi stipulato alcun contratto di compravendita, ma si è limitato a riconoscere i diritti quesiti dei miei assistiti; d’altro canto, il Comune ha così ottenuto una indennità da parte degli attori alla quale non aveva affatto diritto e che quindi non avrebbe mai potuto ottenere in sede giudiziale (nella quale sarebbe anzi andato inevitabilmente incontro a una ingente condanna alle spese legali).
Prima di lasciarsi andare ad allusioni così gravi circa l’esistenza di un presunto accordo preventivo tra le parti, l’autore dell’articolo avrebbe quantomeno dovuto dare atto che i miei assistiti sono già automaticamente ed ex lege i proprietari del terreno in questione, in quanto, secondo gli atti e i documenti depositati in giudizio, fin dal 1979 lo hanno pacificamente posseduto ed utilizzato in via esclusiva come sala esterna per l’esercizio dell’attività di ristorazione.    
Come risulta dalla delibera di Giunta in oggetto, peraltro, a seguito della notifica dell’atto di citazione, l’Ufficio Tecnico del Comune di Scalea, unitamente alla Polizia Municipale dell’ente, ha eseguito un sopralluogo sull’area in contestazione dal quale è risultata la fondatezza delle pretese avanzate dagli attori e la veridicità delle affermazioni e dei fatti contenuti nell’atto introduttivo del giudizio.
L’articolo di cui si tratta non spiega peraltro quale avrebbe dovuto essere la diversa condotta del Comune nei confronti di una legittima istanza di tutela di un diritto riconosciuto dalla legge e quale sarebbe stata la strategia processuale più idonea a contrastare quanto pacificamente è emerso dagli atti di causa e dal verbale di sopralluogo della Polizia Municipale di Scalea e dell’Ufficio Tecnico comunale.
L’articolo di cui si tratta non espone inoltre le ragioni logico-giuridiche che avrebbero dovuto condurre il Comune a respingere una istanza legittima, non solo assumendo così una posizione diversa da quella assunta in passato in casi analoghi, ma anche violando la legge ed esponendosi così a una responsabilità risarcitoria ed eventualmente amministrativa. Ciò è tanto più singolare, se si considera che, a voler leggere bene l’articolo di cui si tratta, l’autore stesso ammette che, per dare torto ai miei assistiti, il Comune avrebbe dovuto violare una precedente delibera consiliare, la n. 59 del 14 novembre 1994, la quale consente, al ricorrere di determinati presupposti (evidentemente ritenuti esistenti nel caso di specie), al Comune stesso di stipulare un contratto di transazione con quei cittadini che dimostrano di possedere un terreno comunale con il precipuo scopo di porre fine alla lite insorta e di regolarizzare una situazione di fatto con contestuale incremento delle entrate comunali.  
Per mero scrupolo mi preme infine ricordare al consigliere Acquaviva che l’indennità versata dai miei assistiti al Comune di Scalea a titolo di transazione è pienamente conforme ai criteri e ai prezzi stabiliti nella delibera di Giunta comunale n. 18/2011 avverso la quale non mi sembra che egli abbia mai mosso critiche.

Avv. Francesco Cristiani